30.11.2023 ANATOMIA DI UNA CADUTA

di Justine Triet, con Sandra Huller, Swann Arlaud, Milo Machado, Francia, 2023 durata: 150 min.

Arriva in sala un film sorprendente, appassionante e femminista, ma anche sfaccettato e pieno di colpi di scena come un thriller hitchcockiano, di cui in qualche modo porta con sé la precisione di regia e l’eleganza formale. Anatomia di una caduta della francese Justine Triet, Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes e campione d’incassi in patria, è allo stesso tempo un film giallo, intimista e processuale. Un’opera di alto livello sull’ambiguità del reale, intrisa però di uno sguardo e di un vero sentire umano. Una musica trascinante risuona nel salotto di uno chalet di montagna, immerso nelle nevi. Sembra l’inizio di una commedia divertente e piena di ritmo, ma la musica si arresta bruscamente, come un colpo d’ascia che cade netto sul legno. Un uomo precipita dall’alto e muore. Un ragazzo cieco è in giro con il suo cane poco lontano. Una donna, moglie dell’uomo precipitato e madre del ragazzo, si trova improvvisamente vedova, travolta dal dolore. Ma troppe cose non tornano e la donna finisce sotto processo, devastata due volte. Detto questo, dev’essere chiaro che siamo davanti a un grande film, di notevole finezza e forza, e che se, per l’ennesima volta, la rappresentazione è concentrata sulle problematiche della borghesia, c’è tuttavia il coraggio di virare con nettezza in favore dell’ambiguità delle cose. Il bello è che lo fa in una prospettiva femminista, quella sì senza ambiguità. Riuscendoci, nella sua dimensione più esplicitamente militante, anche molto bene. Ma che si voglia femminista senza ambiguità, è ancora apparenza. E anche per questo raggiunge una dimensione universale. Così, quel che (ap)pare acquisito e difficilmente confutabile è rimesso continuamente in discussio- ne, in un senso o nell’altro, in un vortice, una girandola caleidoscopica che sorprende sempre lo spettatore. La pallina rimbalza, incessantemente, quasi fino alla conclusione. A quel punto non solo ci si accorge di aver assistito, sia in diretta sia in differita, a un grande film sull’infanzia rubata, violen- tata, traumatizzata (più volte), ma anche alla lotta estrema di un adolescente per riappropriarsi il più possibile di quanto stanno cercando di sottrargli. Un ragazzo cieco, ma che sarà determinante nell’aiutare tutti a vedere meglio, a vedere oltre. Lo sguardo esterno di Triet, non a caso, si concentra sui volti di madre e figlio.

(Francesco Boille – Internazionale.it